Ivan Goncharov
all'inizio con sollievo ho constatato che l'immedesimazione che temevo con il personaggio di Oblomov non si sarebbe palesata in quanto il protagonista è decisamente e irrimediabilmente una macchietta, con un grado di pigrizia, di accidia e di passività da tenere il lettore al sicuro da tentazioni proiettive. Dipanandosi la storia questo tipo di sentimento invece riaffiora in modo più subdolo e si insinua laddove le tue difese si sono allentate. Questo misto di pavidità, immaturità, goffaggine, ingenuità, vittimismo ti si pone di fronte come una serie di specchi nei quali si riflettono atteggimenti di molti di noi, a meno che non ci chiamiamo Stolz. La tentazione, di fronte alla fatica che il vivere in modo pieno presuppone, di rinunciare di darsi per vinti, di desistere, di ambire a ridurre la propria vita ad un lento fluire del tempo come ad prolungare ancora un po', la nuotata nel liquido amniotico del ventre materno che ci protegge dal mondo, dagli altri e sopratutto dal confronto con noi stessi. Ed infine l'impossibilità del cambiamento: ad un certo punto Oblomov sembra poter uscire dal bozzolo e, se non diventare farfalla, quantomeno tentare una corsa a perdifiato, ad andare incontro alla vita con tutto ciò che questo comporta, ma anche questo tentativo si infrange sulla sua impotenza. Anche se, a poche pagine dalla fine, mi piace pensare che una possibilità di riscatto per lui ci possa essere ancora, e per questo sarei tentato di non finire le ultima righe del romanzo, ecco questo sarebbe certamente un oblomovismo.
ma quanto mi piace il Gary Coopo scrittore?!
RispondiEliminamamma mia, a furia di non scrivere più o quasi faccio fatica e il risultato è pessimo
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